CURIOSITA' SULLA CODA ALLA VACCINARA
La ricetta prende il suo nome dai “vaccinari”, gli operai del mattatoio e piu' precisamente dai scortichini gli addetti che scuoiavano le
bestie.
Il salario di questi operai veniva spesso integrato proprio con la parte meno nobile della lavorazione della carne il cosidetto quinto quarto, che veniva cucinato tra le mura
domestiche o rivenduto alle trattorie di Testaccio.
La prima versione della Coda alla Vaccinara sembra sia nata intorno al 1300 nel Rione Regola, storicamente abitato da vaccinari.
Agli inizi del Novecento, la signora Ferminia del ristorante Checchino a Testaccio, aggiunse uvetta, pinoli e guance di bue per conferire
ulteriore sapore.

PREPARAZIONE
- Tagliate a pezzi la coda di bue e fatela spurgare per un paio d'ore in acqua corrente: scottatela poi per un mezz'ora in acqua bollente.
- Trascorso questo tempo scolate la carne, conservando l'acqua di cottura, ed asciugatela.
- In un capace tegame di terracotta fate rosolare in mezzo bicchiere di olio, il lardo tritato, una cipolla, una carota,
uno spicchio di aglio ed un cucchiaio di prezzemolo tritati.
- Aggiungete la carne e quando sarà colorita salatela, pepatela e innaffiatela con un bicchiere di vino bianco.
- Quando il vino sarà assorbito unite i pomodori sbucciati e passati al setaccio ed un cucchiaino di maggiorana tritata,
una foglia di lauro, un pizzico di timo, un pizzico di cannella e uno di noce moscata.
- Coprite il tegame e, a fuoco basso, fate cuocere aggiungendo man mano che il fondo restringe un poco dell'acqua in cui la coda è stata scottata.
- Dopo tre ore di cottura aggiustate di sale e mettete il sedano mondato, lavato e tagliato a pezzi, i pinoli, l'uva sultanina ammorbidita in acqua
tiepida e strizzata quindi fate cuocere per un'altra mezz'ora.
- Servirete la coda alla vaccinara caldissima, nel recipiente di cottura.
Vino da abbinare al piatto.
Secondi piatti come la coda alla vaccinara, l'abbacchio, le frattaglie, la selvaggina e i formaggi stagionati prediligono il
Cesanese del Piglio DOCG grazie alla sua struttura.
Già nel 1973 fu riconosciuta la DOC e nel 2008 arrivò il massimo riconoscimento della DOCG.
Lo stretto legame con il territorio e con la popolazione, che ha abitato l’area, ha costruito e modificato nel tempo la tradizione della sua
coltivazione e della sua vinificazione.
Ciò fa del Cesanese del Piglio un’esemplare assolutamente meritevole della DOCG e un esempio per i vini laziali.
La denominazione può essere prodotta in provincia di Frosinone (comune di Piglio e Serrone, in parte il territorio di Acuto, Anagni e Paliano).
Il 90% di questo vino rosso del Lazio deve essere composto da Cesanese di Affile o Cesanese comune.
La denominazione si riferisce a tre tipologie:
CESANESE DEL PIGLIO o PIGLIO
CESANESE DEL PIGLIO SUPERIORE o PIGLIO SUPERIORE
CESANESE DEL PIGLIO SUPERIORE RISERVA, ottenuto con un invecchiamento non inferiore a 20 mesi della versione “Superiore”, di cui
6 mesi di affinamento in bottiglia.
Il Cesanese del Piglio DOCG è un vino rosso del Lazio color rubino, con riflessi violacei nella versione giovane e tendente al granato se
invecchiato.
Questo famoso vino laziale presenta un odore tipico del vitigno stesso e risulta sul finire leggermente amaro.