I PIU' FAMOSI SONETTI ROMANESCHI
I cinque sonetti piu' conosciuti del Belli con la traduzione romanesco/italiano.
I migliori o comunque i piu' famosi sonetti romaneschi di Giuseppe Gioacchino Belli.
«Li soprani der monno vecchio
C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st'editto:
"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l'affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".
Co st'editto annò er Boja per ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero!".»
«I sovrani del mondo vecchio
C'era una volta un Re che dal palazzo
mandò in piazza al popolo quest'editto:
"Io sono io, e voi non siete un cazzo,
signori vassalli invigliacchiti, e silenzio.
Io sono capace di cambiare una cosa da uno stato all'altro e viceversa:
Io vi posso barattare tutti per un nonnulla:
Io se vi faccio impiccare tutti non vi faccio torto,
Visto che Io ho il potere di darvi la vita e quel con cui vivere.
Chi vive in questo mondo senza possedere la carica
o di Papa, o di Monarca o di Imperatore,
colui non potrà mai far sentire la sua voce in pubblico!".
Con tale editto si recò il boia come portavoce,
chiamando all'attenzione tutti quanti a gran voce;
e il popolo intero rispose: "È la verità, è la verità!".»

«Er giorno der giudizzio
Quattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe cantone
A ssonà: poi co ttanto de vocione
Cominceranno a dì: "Fora a chi ttocca"
Allora vierà su una filastrocca
De schertri da la terra a ppecorone,
Pe ripijà ffigura de perzone
Come purcini attorno de la biocca.
E sta biocca sarà Dio benedetto,
Che ne farà du' parte, bianca, e nera:
Una pe annà in cantina, una sur tetto.
All'urtimo uscirà 'na sonajera
D'angioli, e, come si ss'annassi a letto,
Smorzeranno li lumi, e bona sera.»
«Il giorno del giudizio
Quattro grandi angeli, con le trombe in bocca,
Si disporranno ai quattro angoli dell'universo
A suonare: poi con una gran vociona
Cominceranno a gridare: "Sotto a chi tocca".
Allora comincerà a venire su una lunga fila
Di scheletri da sottoterra, camminando carponi
Per riprendere la forma umana
Raggruppandosi come fanno i pulcini con la chioccia
E questa chioccia sarà Dio benedetto
Che li dividerà in due parti, buoni e cattivi
Questi da sprofondare all'inferno e quelli da mandare in Paradiso
Alla fine verrà una schiera
D'angeli e, come quando si va a dormire,
Spegneranno tutte le luci e buona notte!»

«Er caffettiere filosofo
L'ommini de sto monno sò ll'istesso
Che vvaghi de caffè nner mascinino:
C'uno prima, uno doppo, e un antro appresso,
Tutti cuanti però vvanno a un distino.
Spesso muteno sito, e ccaccia spesso
Er vago grosso er vago piccinino,
E ss'incarzeno, tutti in zu l'ingresso
Der ferro che li sfraggne in porverino.
E ll'ommini accusì vviveno ar monno
Misticati pe mmano de la sorte
Che sse li ggira tutti in tonno in tonno;
E mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
Senza capillo mai caleno a ffonno
Pe ccascà nne la gola de la morte.»
«Il caffettiere filosofo
Gli uomini a questo mondo sono lo stesso
che chicchi di caffè nel macinino:
che uno prima, uno dopo, e l'altro appresso,
tutti quanti però vanno a un destino.
Spesso mutano sito e scaccia spesso
il chicco grosso quello piccolino,
e s'ingorgano tutti sull'ingresso
del ferro che li frulla fino, fino.
E gli uomini così vivono al mondo
mescolati per mano della sorte
che se li gira tutti in tondo in tondo.
E movendosi ognuno, o piano, o forte,
senza capirlo mai calano a fondo
per cascare nella gola della morte.»

«La creazzione der monno
L'anno che Gesucristo impastò er monno,
Ché pe impastallo già c'era la pasta,
Verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
All'uso d'un cocommero de tasta.
Fece un zole, una luna e un mappamonno,
Ma de le stelle poi dì una catasta:
Su ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
Piantò le piante, e doppo disse: "Abbasta".
Me scordavo de dì che creò l'omo,
E coll'omo la donna, Adamo e Eva;
E je proibbì de nun toccaje un pomo.
Ma appena che a maggnà l'ebbe viduti,
Strillò per dio con quanta voce aveva:
"Ommini da vienì, sete futtuti"»
«La creazione del mondo
L'anno che Gesù Cristo impastò il mondo,
Poiché per impastarlo già c'era a disposizione la pasta,
Lo volle fare di colore verde, grosso e rotondo,
Come se fosse un cocomero con il tassello.
Fece un sole, una luna e un globo terracqueo,
Di stelle puoi dire pure che ne fece un mucchio:
In cielo mise gli uccelli, gli animali in mezzo e i pesci in fondo:
Piantò le piante e poi disse: "Adesso basta".
Mi scordavo di dire che creò l'uomo,
E insieme all'uomo la donna, Adamo e Eva;
E proibì loro di toccare un suo frutto.
Ma non appena li vide che lo stavano mangiando,
Strillò, per Dio, con tutta la voce che aveva:
"Uomini che dovete ancora nascere, siete fregati"»

«Er padre de li santi
Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.
Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello.
Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.
Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.
E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.
Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.»
«Il Padre dei Santi
Il genitale maschile può dirsi radice, uccello,
Uccellino, nerbo, bastone, porta-penne
Pezzo-di-carne, manico, cetriolo,
Aspersorio, zucchina e mattarello.
Cavicchia, paletta2, chiavistello,
Il giunco, il guercio, il mio, nerchia, piolo,
Attaccapanni, mozzicone di candela, fungo3,
Anguilla, listello4e manganello.
Zeppa e batacchio, cavola5 e turacciolo,
E maritozzo, e cannula, e pipino,
E salame, e salsiccia, e sanguinaccio.
Poi baccello, cannocchiale, arma, bambino,
Poi torso, cresci-in-mano, catenaccio,
Mandorla e mio-fratello-piccolino.
E ci aggiungo persino
Che il mio dottore lo chiama cotale,
Fallo, asta, verga e membro naturale.
Quel vecchio del farmacista
Dice Priapo, e sua moglie pene,
Segno, per Dio, che non le torna bene.»